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Quell'estate al castello

213782
Solinas Donghi, Beatrice 22 occorrenze
  • 1996
  • Edizioni EL - Einaudi Ragazzi
  • Trieste
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Quell'estate al castello

Era una brutta faccia. Tirata, stravolta, peggio ancora di quel primo giorno quando lei si era tanto offesa che lo zio prendesse in giro il nostro

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col sedere nell'acqua. Allora sentii ridere. Qualcuno, in tutto quel buio, stava ridendo di me. - Ippolita? Ormai ero abbastanza vicina al buco

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detto, potevo persino capire che in un certo senso mi invidiasse. Poi finalmente si mise a leggere la sua lettera; e di quel giorno non c'è da raccontare

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da fare i gattini. Non li fece, però. Anzi, ecco che di botto le esce fuori una voce tutta diversa da prima, chiara e fredda. E quel che disse con la

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successo niente. Però al trovatore e alla dama non abbiamo piú giocato, dopo quel primo giorno.

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di marcio e decisi che be', nemmeno io. Esplorare sottoterra, d'accordo, ma levarmi i sandali e calarmi a piedi nudi in quel nero, nossignori, non mi

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ero entrata in sala da pranzo col cuore nei tacchi dei sandali, dall'apprensione. Almeno, io lo sentivo circa a quel livello li. C'era già la contessa

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un castello con sotterranei. Poi, passato quel primo momento di istupidimento, il solletico dietro le costole diventò cosí forte che per sfogarlo mi

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rimaste senza fiato tutt'e due. Al di là di quel muretto la galleria si allargava formando come una stanza, una sala col soffitto a volta, tutta piena

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allora venne sola, oppure piú sovente con un signore alto e diritto come un bastone, che era poi quel suo zio Ottavio. Ecco perché mi conosceva anche

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., avrebbe continuato lo stesso a mancarmi fino alla fine dei secoli (mi pareva) quel pezzetto di vacanza al castello che ancora mi toccava e che invece

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cosa che Ippolita non aveva pensato era che anche a X quel nome, cioè quel cognome, che naturalmente era lo stesso degli zii, doveva per forza essere

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, in quel momento. Mancavano ancora piú di dieci minuti all'ora di colazione, avevo tutto il tempo di andare a vedere. Ci andai, ma non c'era. Mi misi

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Dopo, anche Ippolita si ostinava a dire che scovandola dentro a quel cunicolo l'avevo salvata. - Ma finiscila, - protestavo io. - Vorrei vedere se

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? - Credo che in quel momento non mi sarei molto meravigliata se mi avesse detto che era di gesso, o magari di cartapesta, tanto ero delusa. - Voglio

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liuto che non c'era e attaccai: - Plin plin, plon plon. O dama che da quel balcone... - ...verone... - ...che da quel verone spenzoli i tuoi codinzoli

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, poi Ippolita che dietro le sue spalle mi faceva il gesto della gran barba che ne aveva. In quel momento lo zio Ottavio mise fuori la testa dalla porta

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una nostra parola segreta per dire quel misto di formicolio nella pancia e di brividino lungo la schiena che si prova nei momenti avventurosi. - Guic

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, in quella cantina, valeva la spesa di spenderci tante parole? Momento. È vero che era successo poco, però quel poco c'entra molto con quello che

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La prima cosa che successe fu che si mise a piovere. Sorpresa sorpresa: chi ci pensava piú, con quel caldo. Uscendo dalla grotta non avevamo fatto

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Mica che lo continuassimo subito, il discorso. Anzi. Prima ci fu il pranzo: una morte civile, quel giorno. Ippolita non alzava gli occhi dal piatto

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: quel gallo anticipava. Il cielo era ancora nero, Però di un nero un po' stinto, verdiccio-violetto come l'inchiostro nei calamai della mia scuola

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